L'intrattenimento da 8 a 64 bit
Il limite non è la potenza di calcolo ma l'immaginazione

A guardare un’immagine di una vecchia sala giochi mi vengono i brividi. Sembra di sentire il suono della musica a 8 bit in sottofondo insieme al premere ossessivo dei pulsanti 🕹️ e il tintinnio delle monete inserite per una vita in più. Da allora sono cambiate molte cose, ma la nostra passione per il gioco rimane. Clicca questo audio per un po’ di dopamina gratuita! 👇🏻😁
Il gioco non è mai stato “tempo perso”, ma un vero e proprio laboratorio creativo che ci permette di allenare pensiero e comportamento. Il videogioco è l’estensione tecnologica di questa attività e offre una flessibilità che un gioco fisico non può offrire. Puoi passare da un platform a uno sparatutto a un gioco di corse in pochi secondi, puoi giocare all’interno, quindi al sicuro dalla variabilità del meteo. Puoi addirittura giocare online con chiunque nel mondo (o con qualcuno sul divano accanto a te). Che cosa vuoi di più?
Se segui il mondo dei videogiochi avrai notato che negli ultimi anni c’è stato un revival del retro gaming. Non parliamo solo di chi gioca tuttora con titoli di 30/40 anni fa, ma di giochi nuovi sviluppati secondo stile grafico e meccaniche di gioco tipiche di quegli anni. Chi segue il mondo della musica riconoscerà nel genere synthwave l’equivalente musicale di questo fenomeno. Nel mondo delle arti grafiche, troviamo la pixel art.
Sicuramente non siamo indifferenti all’effetto nostalgia che questi contenuti ci fanno provare, ma allora perché sono così popolari anche con chi non ha vissuto quei tempi?
Pixel, fantasia e limiti
Per motivi tecnici, i primi videogiochi erano molto semplici. Oggi che abbiamo un supercomputer in tasca può sembrarci inconcepibile, ma questa potenza di calcolo non ha sempre fatto parte della nostra vita, anzi! Quando all’inizio abbiamo parlato di musica a 8 bit intendiamo proprio questo, musica composta usando una memoria che consente di avere 256 possibili valori distinti. Con così poca memoria a disposizione tutto era ridotto all’osso: suoni, colori e movimento.
Nel 1983 la Nintendo a 8 bit sbarca sul panorama internazionale e ci regala titoli come Super Mario Bros. e The Legend of Zelda che hanno lanciato due serie ancora oggi in voga. Erano giochi “istintivi”, gameplay limitato a pochi pulsanti da premere in successione e dalla durata complessivamente breve. Ci si poteva giocare pochi minuti per volta e divertirsi lo stesso.
Più colori!
Il passaggio da 8 bit (come la NES) a console a 16 bit (come la Super Nintendo) ha aumentato il numero di variabili da 256 a 65.535. Un aumento estremamente significativo che ha portato più colori 🌈, più dinamismo, e qualche illusione di profondità (il mitico Mode 7). F-Zero e Street Fighter II sono esempi di pura adrenalina.
Potremmo dire che aumentano le capacità grafiche delle console ma l’indole arcade dei giochi è la stessa della generazione precedente.
La rivoluzione 3D
Il vero passo in avanti avviene con le console a 32 bit (come la PlayStation) e 64 bit (come la Nintendo 64) che introducono giochi 3D come il nuovo standard. I processori delle console consentono di calcolare valori pressoché infiniti: il limite non sono quanti colori è possibile salvare in memoria ma quanti poligoni possono essere simulati in tempo reale sullo schermo. Gli sviluppatori fanno del loro meglio per darci progetti sempre più ambiziosi semplificando al massimo le forme per fare i conti con i limiti prestazionali delle console

Del leggendario Crash Bandicoot del 1996 ricorderete i lunghi livelli in cui non dobbiamo farci travolgere da un masso che ci insegue stile Indiana Jones (video estratto da YouTube).
Beh, questo è reso possibile da una combinazione ingegnosa di espedienti che semplificano quello che la console deve fare senza togliere a noi immersione (per esempio usando prospettiva forzata o caricando solo una piccola parte di un intero livello caricato vicino a dove si trova il personaggio).
Finzione o Simulazione? Quando la realtà diventa noiosa
Saltiamo avanti una ventina di anni e ci troviamo ai giochi dell’era moderna. Oggi i cosiddetti AAA sono mostri da centinaia di gigabyte, sviluppati in mezzo decennio con budget da film di Hollywood 🎬 (centinaia di milioni di dollari). Hanno grafica iperrealistica, mondi da esplorare immensi, luci ed effetti ambientali verosimili. Eppure, molto spesso ci annoiano.
La distanza tra finzione e realtà si è accorciata, ma la percepiamo di più. È lo stesso effetto di guardare un film pieno di effetti speciali e scene interamente CGI (pensate a qualsiasi film degli Avengers): invece di stupirci, notiamo subito gli elementi che non funzionano con il resto. Nei vecchi giochi, invece, la finzione era totale e dichiarata. Dovevi usare la fantasia.
Il paragone con il mondo del cinema continua. Dovendo spendere ingenti risorse è chiaro che si cerca di sviluppare un prodotto che abbia la certezza di avere mercato. Trovata una formula che funziona, viene ripetuta all’infinito senza grandi cambiamenti.
Ovviamente non tutti i giochi moderni fanno schifo. Ogni tanto qualcuno riesce ancora a ricordarci perché giochiamo. Titoli come Elden Ring dimostrano che quando dietro c’è visione, il risultato può essere arte, non solo intrattenimento. Sono eccezioni, però. Per ogni capolavoro ci sono decine di cloni senz’anima, pieni di missioni copia-incolla e sistemi di progressione studiati più per trattenerti che per divertirti.
Un esempio su tutti è Call of Duty, che dopo Warzone ha perso anima. Detto addio alla campagna singola e abbracciato il multiplayer “free-to-play”. Il modello di business è decisamente più redditizio: puoi vendere il gioco + una sottoscrizione con un nome figo tipo “battle pass” che ti offre contenuti premium + future DLC che ampliano il gioco (soprattutto personalizzazioni grafiche). Ovviamente se non vuoi fare il grind necessario per sbloccare le armi buone, puoi sempre comprarle! W le microtransazioni!
Se invece restiamo sui giochi single player, possiamo pensare agli ultimi Assassin’s Creed. Visivamente ineccepibili, ma dal gameplay lungo e ripetitivo. Se non giochi almeno una quarantina di ore non scalfisci neanche la superficie. Ma chi ha tutto questo tempo da dedicare?
Forse è per questo che tanti giochi moderni guardano indietro.
Il ritorno alla semplicità
Negli ultimi anni c’è stato un vero e proprio revival della pixel art e dei giochi 2D. Basti pensare a giochi come Stardew Valley, Celeste e tantissimi altri. Sono giochi semplici, carini, dal gameplay alla portata anche di chi non è un giocatore esperto (o accanito). Si possono gustare a piccole dosi oppure passarci le giornate. Non sono un’imitazione della realtà, continuano la tradizione del gioco come mezzo di esperienza e non spettacolo.
Oppure giochi indie come Hollow Knight, che ha fatto centro puntando esplorazione 2D, atmosfere bellissime e variegate, e combattimenti difficili. Pieno di segreti, premia il giocatore che prende il suo tempo e sperimenta
Verso nuovi mondi
Tutto sommato il panorama è estremamente variegato. E il futuro? 🚀
Non ci aspettiamo rivoluzioni.
I giochi di oggi hanno già raggiunto un livello tecnico che sfiora il fotorealismo. I prossimi miglioramenti grafici saranno marginali, visibili solo a chi ama contare i riflessi sui caschi o le ombre sui fili d’erba. Il salto vero non sarà nei pixel, ma nelle idee.
Da qui in avanti, la differenza la farà la sperimentazione: nuovi linguaggi, nuove meccaniche, nuovi modi di raccontare. Più che giochi belli, vedremo giochi strani. E sarà un bene!
Forse il futuro del videogioco non è nell’imitare il mondo, ma nel crearne di nuovi. Perché quando la tecnologia smette di stupire, torna utile solo una cosa: la fantasia.
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